Presentazione Di Roberto Cecchi (Dal Volume Speciale Archeologia E Infrastrutture. Il Tracciato Fondamentale Della Linea C Della Metropolitana Di Roma: Prime Indagini Archeologiche)

Estratto dal volume speciale Archeologia E Infrastrutture. Il Tracciato Fondamentale Della Linea C Della Metropolitana Di Roma: Prime Indagini Archeologiche (2010)

Questo numero speciale del Bollettino d’Arte è dedicato al tema dell’archeologia di campo e delle infrastrutture. Due argomenti inusuali per questa nostra rivista che solitamente ospita riflessioni più specialistiche legate alla storia dell’arte antica e moderna e all’architettura. Due argomenti, inoltre, che per il sentir comune si trovano in palese contrasto tra loro, come se si trattasse di mondi distinti e separati.
Una sorta di paradigma dell’impossibilità, della non comunicabilità. Come se da una parte esistesse il mondo dedicato alla disciplina della storia e dall’altra quello rivolto all’esperienza del nuovo e che per qualche ragione fosse addirittura statuito in un recondito anfratto normativo il divieto di trovare una sintesi.
Con il rischio di profonde e reciproche delegittimazioni che di fatto non è difficile sperimentare. Per i cultori del nuovo lo sguardo è sempre rivolto al futuro e qualsiasi riflessione sul passato può assumere addirittura connotati funerei:
‹‹Questo revival della decomposizione mortuaria non ha nemmeno la funesta dignità storica che contraddistingue Burham e C. nel celebrare i nefasti dell’esposizione di Chicago del 1893››
si legge nella rivista L’architettura edita nel 1981 a commento della “Prima mostra internazione di architettura” alla Biennale di Venezia dal titolo La presenza del passato.
Per i cultori del passato, invece, lo sguardo è sempre e soltanto rivolto all’indietro. È la condizione che conosciamo bene, quella di una tutela modellata su una prospettiva meramente storicista. Che si vede confinata dalla condanna nietzschiana nel recinto dell’inutilità e nel danno per la vita. Dove l’inutilità sta nel ridursi al solo passato, alla storia, in quel conoscere troppo stratificato e immobile che produce un eccesso di consapevolezza capace d’inibire la possibilità di progettare il futuro.
Lo sguardo che invece vorremmo è quello stesso dell’‘Angelus novus’ di Klee che correndo verso il futuro volge significativamente il volto all’indietro e si pone a fondamento del pensiero sulla storia di Walter Benjamin per ‹‹liberare le immense energie della storia assopite nel ‘c’era una volta’ della narrazione storica classica››.
Insomma, torna sempre di grande attualità l’intuizione di Ernesto Nathan Rogers quando sottolineava ancora nel secondo Dopoguerra che
‹‹non è opera veramente moderna quella che non abbia autentiche fondamenta nella tradizione, epperò le opere antiche hanno significato odierno finché sono capaci di risuonare per la nostra voce; così fuori dalla cronologia e da un idealismo non meno astratto, potremmo esaminare il fenomeno nell’attualità dell’essere: nella sua storica concretezza››.
È in questo spirito di conciliazione disciplinare che si è cercato di affrontare il compito di assicurare la prosecuzione e il completamento ‹‹nei tempi stabiliti degli interventi di costruzione delle linee metropolitane di Roma e Napoli››.
Il linguaggio burocratico con il quale il Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 1 agosto 2008 stabilisce i compiti del Commissario Straordinario per la prosecuzione e il completamento delle nuove linee della metropolitana di Roma e Napoli sottende la realizzazione di un processo. Rispettare i “tempi stabiliti” significa la condivisione di un progetto e la sua approvazione. Fino al febbraio del 2009 questo progetto condiviso di fatto non era tale nonostante se ne parlasse dall’inizio del 2000.
Le finalità di questa pubblicazione sul Bollettino è dar conto dei risultati delle indagini archeologiche preliminari condotte prima e durante l’attività commissariale nella consapevolezza che l’archeologia per Roma è un opportunità che vorrebbe che quella “Metro archeologica” di cui si parla nel 2003 diventi una realtà.
Ma è anche la testimonianza di un lavoro importante e particolarmente complesso dell’ufficio preposto alla tutela, la Sovrintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma, che ha saputo dare un contributo importante alla realizzazione di un’opera pubblica come la metropolitana di Roma.
Un impegno importante anche quello di Roma Metropolitane che svolge le funzioni di Stazione Appaltante, di Responsabile del Procedimento e del Contraente Generale, Metro C s.c.p.a., che realizza e cura la progettazione esecutiva dell’opera e che tra il 2006 e il 2010 impegna circa duecento ingegneri insieme a ottantanove archeologi e tre antropologi.
Dunque archeologia e infrastrutture. Questo rapporto è ancora una sorta di esercizio di sopportazione come lo era alla fine dell’Ottocento quando, tanto per fare un esempio, Camillo Boito parlando delle mirabili vestigia di Roma si preoccupava del fatto che i resti della romanità si sarebbero trovati ‹‹nel mezzo delle brutte via moderne e dei quartieri nuovi››.
Qui non si tratta né di vie né di quartieri e neppure si può parlare di un rapporto totalmente irrisolto. Ma non è sufficiente pubblicare i risultati strabilianti degli scavi archeologici condotti nelle aree oggetto di interventi pubblici. Forse è grazie al rapporto/scontro con l’archeologia che sta maturando nei progettisti una coscienza che dopo il cantiere archeologico trova l’ispirazione proprio da quei segni e da quelle logiche di struttura urbana o rurale nelle quali il nuovo va ad innestarsi.
Ma non c’è ancora, né qui né altrove, quella capacità di far risuonare dei medesimi accordi l’un tema e l’altro. Se non nelle forme di una sorta di arredo.

Ultimo aggiornamento

28 Febbraio 2024, 12:31